Teatro

Simone Cristicchi: 'Sono un antiquario di storie sconosciute'

Simone Cristicchi: 'Sono un antiquario di storie sconosciute'

Non ha fatto scuole di teatro, eppure riempie i teatri. Non se la sente di recitare con altri, perché da solo sul palco ha più libertà di deragliare. E ha capito che nel teatro vige una regola chiave: è l'alchimia di cosa racconti, di come lo racconti e del passaparola.

"Il secondo figlio di Dio: una storia che se non te la raccontano, non la sai”. E’ quella incredibile e realmente accaduta di David Lazzaretti, visionario di fine ‘800.

Era il 1878 e su una montagna in Toscana un uomo si proclamava la reincarnazione di Gesù Cristo. Diceva di essere il secondo figlio di Dio. E’ l’inizio di una vicenda che avrebbe potuto cambiare il corso della storia. Dopo il successo di “Magazzino 18”, Simone Cristicchi anche stavolta fa il “restauratore della memoria” e ricostruisce la parabola di Lazzaretti, detto il “Cristo dell’Amiata” che da barrocciaio diventa profeta, citato e studiato da Gramsci, Tolstoj, Pascoli, Lombroso e Padre Balducci. Un uomo che in fondo voleva solo una società à più giusta, fondata sull’istruzione, la solidarietà e l’uguaglianza. “Il secondo figlio di Dio” sarà in tour fino ad aprile in diversi teatri italiani.

Cantante, cantautore, attore, sceneggiatore, fumettista, disegnatore e scrittore. Per non usare l’inflazionato artista, quale termine userebbe per descriversi?
Antiquario. Mi piace come termine, mi rappresenta. Sono un “restauratore della memoria”: vado a prendere delle vicende negli scantinati, le meno note, ma non per questo meno interessanti. Le rendo più belle e le restituisco al pubblico.

Lo spettacolo “Magazzino 18” è stato un successo pazzesco. Se lo aspettava?
Assolutamente no. Dicevo “Bah, ho già fatto due racconti sulla Seconda Guerra Mondiale, chi verrà a vederlo?” Invece, 180.000 spettatori. Sono rimasto sbalordito.

Come se lo spiega?
Un’alchimia di tanti fattori: era la prima volta che veniva trattato a teatro un argomento sconosciuto e quindi ha creato curiosità. Poi sicuramente il passaparola. E tutto questo ha creato un inarrestabile successo, con 210 repliche, da cui sono uscito piacevolmente stravolto. Fino a che mi hanno dato la cittadinanza onoraria di Trieste.

Il suo è un teatro civile di vicende dimenticate o ignote. Perché sente il  bisogno di dar voce proprio a queste storie? Cosa la spinge a sceglierle?
Non ho mai pianificato nulla. Sono uno che procede per innamoramenti. Seguo l’istinto, fino ad approfondire in maniera maniacale. Divento quindi un cultore della storia, fino a padroneggiarla. Mi interesso a storie di identità, storie di memoria, con sempre il filo conduttore delle radici e di chi siamo.

Ogni sogno ha una voce precisa, e sta dentro ognuno di noi. Solo i matti, i poeti, i rivoluzionari, non smettono mai di sentirla, quella voce. E a forza di dargli retta, magari poi ci provano davvero a cambiarlo, il mondo.” E’ la frase che introduce questo nuovo spettacolo. Poeti, matti e rivoluzionari: ci da’un nome per ciascuna categoria?
I grandi personaggi che ci hanno indicato delle strade ancora oggi sono vittime di pregiudizio, che è abbastanza comune nei confronti del cosiddetto “matto”. Comunque direi: matto Antonio Ligabue, poeta Alda Merini – donna straordinaria che ho conosciuto e di cui ho avuto l’onore di essere amico - e come rivoluzionario sicuramente David Lazzaretti, questo sconosciuto San Francesco che porto in scena.

Cosa le piace del fare teatro?
Mi piace la grande libertà che mi posso prendere. Sono sul palco da solo e questo a volte mi permette di deragliare.

Non pensa di poter stare sul palco con dei compagni di scena?
Mi piacerebbe molto, ma non sono capace di stare con altri… credo che cambierebbe del tutto il mio universo. Io non ho fatto scuole, non ho fatto l’accademia teatrale: recito d’impulso. Ho però avuto due grandi maestri: all’inizio Alessandro Benvenuti, che mi ha introdotto al monologo a più voci e poi Antonio Calenda, che mi ha fatto fare il salto dal monologo all’interpretare i personaggi. Però, chi lo sa… un domani potrei anche recitare con altri.

Quest’anno compie 40 anni. In cosa sente di aver svoltato rispetto ai 30?
L’arte mi ha salvato la vita, mi ha dato un nuovo sguardo sul mondo, mi ha arricchito culturalmente e a livello emotivo. In questi dieci anni ho avuto un bagaglio di incontri ed emozioni impagabili. E ho scoperto la spiritualità come motivo di cambiamento, come altro modo di vedere le cose.

E’ credente?
Diciamo che provo a essere credente. Mi piace dire che sono in cammino.

Se dovessimo risentirci tra 40 anni, al compimento degli 80, cosa pensa che mi racconterebbe?
Sarei un vecchio saggio, forse ancora capellone, che invita a essere saggi. Racconterei la mia vita che finora è stata ricca di colpi di scena notevoli, e che mi immagino ne abbia ancora tanti. Racconterei che la mia vita è stata quella di un privilegiato e che ho lottato molto per questa libertà. Vorrei poter raccontare di aver creato un luogo che possa accogliere le persone, uno spazio che possa nutrirle di bellezza.